Secondo la teoria dell’evoluzione tramite la selezione naturale di Darwin e l’approfondimento di Dawkins una specie per avere la possibilità di sopravvivere deve possedere le seguenti caratteristiche:
- variabilità
- ereditarietà
- differenze nel successo riproduttivo
- adattamento
- ottimizzazione
- idoneità complessiva
Secondo Darwin quando in una specie sono presenti la variabilità (i membri della stessa specie possono differire nelle loro caratteristiche sia comportamentali sia morfologiche), l’ereditarietà (i genitori possono alcune volte trasmettere alla prole le caratteristiche che li distinguono) e differenze nel successo riproduttivo (a causa delle loro particolari caratteristiche ereditarie alcuni individui, all’interno di una popolazione, producono una maggiore discendenza rispetto ad altri) il cambiamento evolutivo è inevitabile.
Perché questo avvenga, cioè per far si che queste caratteristiche possano attivare un reale cambiamento è però necessaria una condizione fondamentale: gli individui di una specie debbono potersi confrontare, decidere e scegliere in piena autonomia e nel loro ambiente naturale.
Per riconoscere l’esistenza di una possibile diversità tra soggetti è necessario che ci sia un confronto tra loro dove, tramite il principio comparativo, viene messo in evidenza un aspetto morfologico o comportamentale che verrà testato da una verifica relazionale ed ambientale.
Anche la verifica di chi è più avvantaggiato nella riproduzione e quindi nel trasmettere le sue caratteristiche ha la necessità di un confronto tra più riproduttori che vivono la stessa situazione e lo stesso ambiente e, soprattutto, si deve avere la possibilità di scegliere con chi accoppiarsi.
Lo sviluppo della teoria di Darwin secondo Dawkins passa attraverso la capacità di adattarsi, cioè nella possibilità di modificarsi per trovare le migliori condizioni per convivere con l’ambiente e i suoi cambiamenti, ricercare nella modifiche quelle migliori, più ottimali, che meglio garantiscono la continuità di specie e accettare di trovare la giusta soluzione adattativa anche non direttamente dal proprio ceppo ma da soggetti legati anche da parentele di grado diverso da quello diretto.
Nuovamente la condizione perché tutto questo avvenga risulta essere la possibilità di confrontarsi/viversiall’interno della specie e se questo viene a mancare allora è plausibile non riuscire più a riconoscersi come tale avendo perso le condizioni per evolversi e trasmettere i cambiamenti adattativi alla prole.
Oltre le caratteristiche necessarie affinché avvenga una selezione evolutiva è necessario considerare anche quei parametri che ne rendono possibile l’attuazione e che identifico in:
- Possibilità di confrontare le strategie migliori
- Capacità adattativa ai cambiamenti ambientali
- Ottimizzazione delle abilità
- Scelta riproduttiva mirata alla qualità
- Confermare, attraverso le esperienze soggettive, le qualità e le abilità di specie
- Tramandare le modifiche comportamentali o fisiologiche rilevatesi utili per la sopravvivenza
Per scegliere la strategia migliore per la sopravvivenza, ad esempio il comportamento più adatto verso i predatori, si deve avere necessariamente la possibilità di confrontare contemporaneamente più strategie, solo in questo modo potrà accadere che la migliore garantirà maggiore capacità riproduttiva e trasmissione alla prole del gene modificato secondo quel comportamento evoluto.
Anche le strategie legate alla scelta sociale hanno seguito la regola del confronto sia che si accetti la teoria Darvwiniana sia che si scelga quella di Wynne-Edwars della selezione di gruppo dove essa è dovuta alla capacità di possedere meccanismi di regolazione della densità di popolazione.
Immaginiamo di avere due gruppi di canidi a confronto, il primo non possiede regole sociali che ne determinano il funzionamento e tutto quello che dovrebbe essere fattore di collaborazione diventa invece momento di rivalità, il secondo possedendo quelle regole unisce le forze di tutti per raggiungere obiettivi utili; risulta evidente che se confrontiamo le due strategie la prima ostacola la capacità di procurarsi cibo ( le prede ideali per soddisfare il fabbisogno di un canide sono sempre di dimensioni tali da richiedere la partecipazione di più cacciatori che collaborano per garantire il risultato utilizzando tecniche di caccia concordate e condivise) provocando una conseguente scarsità di cibo che porta all’aumento dell’irritabilità dei singoli soggetti e difficoltà ad alimentare una possibile prole.
L’attività sociale del secondo gruppo invece facilita le iniziative dove è necessaria la collaborazione risultando così più efficace anche per una potenziale capacità riproduttiva e conservativa della prole che, diventando adulta, riproporrà gli stessi comportamenti appresi dai genitori e dagli altri componenti del branco.
Concludendo posso dire che per mantenere la caratteristica di una specie e assicurargli una continuità temporale si debbono poterconfrontare le migliori strategie adattative.
Parlando di adattamento intendo la capacità di adeguarsi sia morfologicamente sia a livello comportamentale ai cambiamenti ambientali, per questo è necessario viverlo in modo attivo, cioè esserne parte funzionale al mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema in cui si è inseriti come specie.
Diversamente i cambiamenti sarebbero sempre di tipo adattativi non funzionali però alla specie ma al singolo individuo.
Facendo un esempio è ipotizzabile che i cani urbani con la loro esistenza trascorsa nelle case, al caldo dei riscaldamenti possano arrivare a perdere il pelo che oggi li ricopre, questo avverrebbe non per un motivo funzionale ad ottimizzare le possibilità di sopravvivenza della specie (una delle ipotesi della perdita dei peli da parte dell’uomo è la drastica riduzione di possibili infestazioni dei parassiti e il conseguente aumento della probabilità di sopravvivenza) ma semplicemente perché il suo mantenimento porterebbe un disagio prolungato.
Per essere certi che il cambiamento adattativo sia quello più idoneo non basta accontentarsi del primo proposto ma è necessario ricercare quello più “ottimale” allo scopo. Per questo si parla di ottimizzazione delle qualità e Dawkins, nel suo libro “i meccanismi del comportamento animale”, ipotizza due tipi di ottimizzazione; una che prevede il riuscire a lasciare più prole possibile in età produttiva, ottimizzazione a lungo termine, l’altra vede un singolo soggetto ottimizzare alcune funzioni della vita quotidiana, ottimizzazione a breve termine.
Come si nota per un processo evolutivo è fondamentale il riuscire a tramandare alla prole le modifiche avvenute e per questo diventa importante poter scegliere il partner più adatto allo scopo. Soprattutto per un animale che fa della scelta sociale la sua arma più importante l’accoppiamento tra due soggetti non è mai una pura prova di forza, di bellezza o di dimostrazione di una particolare abilità, la scelta viene sempre orientata verso chi complessivamente dimostra di avere le maggiori qualità sia soggettive sia verso il gruppo e questo è valido sia per le femmine sia per i maschi.
Sarebbe poco probabile avere un effetto evolutivo se la selezione naturale passasse solo attraverso la ragione/prepotenza del più forte, quello che invece si ricerca sono affinità che confermino i cambiamenti ma allo stesso tempo le diversità che rafforzino le possibilità di successo.
Proprio la ricerca di queste qualità fa in modo che la scelta riproduttiva si indirizzi verso quei soggetti che, avendone la possibilità, possono scegliersi trasmettendo alla prole i geni che hanno fatto di loro dei campioni della sopravvivenza.
La prole avrà poi modo di verificare la validità del corredo genetico tramite il percorso ontogenetico che metterà alla prova le abilità vecchie e nuove acquisite rafforzando o indebolendo quelle che più si adattano al momento (inteso come periodo storico) in cui vivono.
Se adesso poniamo la nostra attenzione su quali dei parametri o delle caratteristiche sono assenti oggi nella specie “canis familiaris” partendo dal presupposto che solo chi li possiede può identificarsi come specie destinata ad evolversi perché funzionale all’ecosistema in cui vive e proprio per questo trova un suo scopo per esistere, il quadro che ne risulta è estremamente interessante:
- Scelta riproduttiva
- Possibilità, per mancanza di continuità di relazione intraspecifica, di verificare o sperimentare strategie evolutive
- Perdita delle motivazioni di specie
- Confermare, tramite le esperienze soggettive, le abilità e le qualità di specie
Senza tener conto della sequenzialità prima esposta sulle caratteristiche e sui parametri ma soffermandoci su quello che risulta più evidente, si nota come sia innegabile che oggi il cane non sia più nella condizione di scegliere con chi accoppiarsi per riprodurre.
Tutto quello prima detto sulla necessità di scegliersi per poter tramandare alla prole le ottimizzazioni genetiche adattatative all’ambiente nel cane urbano viene a decadere.
L’uomo decide le scelte riproduttive secondo parametri che nulla hanno a che vedere con il concetto di qualità complessiva, quello che in natura è un’insieme di comportamenti sociali mirati a dimostrare il diritto di riprodursi per la conservazione della specie, un momento che oltre a garantire la continuità rappresenta anche il rafforzamento dell’essere cane tramite il corteggiamento, l’espressione di se stessi, la competizione, l’accoppiamento confermando la validità della comunicazione e della scelta sociale.
Tutto ciò cementa la capacità di vivere mediando i propri bisogni con quelli degli altri nel nome di un interesse comune, ma nel cane urbano questo non trova più riscontro in quanto tutto si riduce all’atto dell’accoppiamento e spesso neanche quello viene praticato vista la pratica, ormai sempre più diffusa, dell’inseminazione artificiale.
La mancanza dei meccanismi legati alla riproduzione, dal corteggiamento all’accudimento della prole durante il periodo adolescenziale, incide in modo diretto sul significato di funzionalità soggettiva e di specie.
Tutti debbono essere consapevoli di essere utili/funzionali oltre che a se stessi anche ad un progetto più ampio che determina la conservazione, pur modificata a fini adattativi, della specie d’appartenenza e per verificare e vivere questo ruolo è necessario confrontarsi continuamente con le componenti che partecipano al mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema d’appartenenza.
Solo tramite il confronto si può determinare sia la nascita di nuove strategie evolutive sia la loro validità e quando questo viene a mancare le possibilità di essere competitivi per la sopravvivenza diventano praticamente nulle o,come nel caso del cane urbano e degli altri animali d’allevamento, totalmente dipendente dalle scelte e dagli umori di altre specie.
Se analizziamo come si arriva a produrre una strategia evolutiva ci accorgiamo che l’attivatore forse più potente sono le motivazioni di specie che danno corpo ai desideri derivati dai bisogni.
Il bisogno alimentare, quello di difendersi dai predatori, l’accoppiamento sono tutte spinte che inducono gli animali a trovare le vie migliori per soddisfarli, ma per questo è necessario avere fame, avere dei predatori che ne minacciano l’esistenza, poter competere con gli altri per riprodursi.
Il cane urbano oggi si può dire che, come l’umano, non ha più fame ma soltanto appetito, non trova più nemici in grado di mettere in pericolo le sue cucciolate o se stesso, non decide con chi accoppiarsi e questo in altre parole significa che le motivazioni di specie che pur deve sentire geneticamente non trovano nessun riscontro nel quotidiano e sono quindi destinate a scomparire.
In altre parole quello che dovrebbe essere la conferma continua di se stessi diventa, per questa specie, un conflitto continuo dove le spinte ancestrali vengono continuamente mortificate dallo sviluppo ontogenetico.
Sintetizzando il concetto in due punti posso dire che:
- Gli istinti di specie sono indirizzati verso l’ambiente naturale, le specie da predare, la specie con cui condividere il quotidiano
- La parte ontogenetica è vissuta in ambiente non naturale per la specie, senza necessità di predazione, condividendo il quotidiano con una specie diversa
Questo sicuramente porta delle conseguenze che posso identificare in:
- Diminuzione della consapevolezza di specie
- Riduzione del bisogno dei meccanismi di regolazione sociale
- Aumento degli interessi soggettivi a discapito di quelli comuni
- Impoverimento della comunicazione intraspecifica
- Aumento della fragilità psicologica
- Perdita dell’utilità funzionale di specie
Essere una specie significa vivere secondo le indicazioni che geneticamente emergono e spingono affinché se ne trovi conferma nel periodo ontogenetico, avere un sistematico conflitto tra queste due realtà porta inevitabilmente a perdere quelle certezze che danno equilibrio, serenità e appartenenza. Rispetto alle problematiche delle relazioni sociali, della specializzazione alimentare, della collocazione tra l’essere preda o predatore le spinte filogenetiche sono chiare ma quando la parte empirica da risposte non rispondenti alle aspettative l’incertezza di quello che si è emerge dando spazio a ricerche di ruolo e funzione che sempre di più si allontanano dalle esigenze dei tanti per focalizzarsi su quelle dei singoli. La forte spinta a trovare i meccanismi per convivere in modo socialmente efficace ed efficiente con i propri simili diminuisce di significato nel momento in cui la maggior parte del tempo è destinata alla convivenza con una specie diversa.
In questo modo sempre di più si perde di vista l’utilità di mantenere e rafforzare sia i modi sia i contenuti della comunicazione intraspecifica rimanendo coinvolti in una sfera che li vede poco compresi e con grandi difficoltà di comprendere il linguaggio altrui.
Tutti i meccanismi che regolano la relazione sociale del branco e danno significato allo stesso perdono d’importanza, coinvolgendo non solo la parte comunicativa ma anche tutte quelle dove è prevista un’interazione, compresa la riproduzione. Le femmine di questa specie rischiano sempre di più di diventare dei semplici contenitore biologici a cui rimane soltanto l’atto dell’accoppiamento e quello del parto fini a se stessi, cioè privati di tutti i significati emotivi e motivazionali che si traducono nell’accudimento, nell’educazione e nella difesa della prole. La diminuzione, se non la mancanza, dell’utilizzo dei comportamenti legati alla comunicazione educativa dei cuccioli riduce la possibilità di fissare, e quindi tramandare, per via empirica i comportamenti ancestrali legati alle tematiche del gruppo rendendo i soggetti meno disponibili all’adattamento sociale inteso come capacità di trovare le migliori soluzioni per la convivenza.
L’impossibilità di vivere in modo autonomo e continuativo con i conspecifici spinge sempre di più questo animale a preoccuparsi più dei bisogni del singolo che di quelli legati alla specie, sempre di più si riduce la capacità di mediazione dei conflitti sociali mentre aumenta il senso del possesso e della contesa.
La violenza che sino a ieri era indirizzata solo verso una produttività sociale con le sue ritualizzazione e le sue estremizzazioni oggi assume un significato gratificante per il soggetto che l’applica e viene utilizzata sia per rimanere al centro dell’attenzione sia per crearsi stima e, non ultimo, per ottenere in modo veloce e prepotente quello che vuole.
Questo nuovo interesse indirizzato più verso se stessi che verso le necessità di branco contribuisce nel fare perdere d’importanza alla comunicazione intraspecifica con l’effetto di fare di un’animale sociale, cioè che ha fatto della relazione la sua arma evolutiva, uno asociale che sull’onda delle spinte filogenetiche trova più conveniente o facile soddisfare questa sua esigenza strategica con un’altra specie inibendone automaticamente la sua funzione evolutiva.
Un animale che ha difficoltà a comunicare con i propri simili, che trova complesso elaborarne i segnali di specie o che perlomeno inizia a avere limiti nel farlo, che non riesce a trovare la semplice linearità espressa nella formula cognitiva che dice che ”l’innato si conferma con l’appreso e l’appreso si realizza tramite l’innato”, che non riesce più a collocarsi in modo funzionale nel contesto in cui vive e per cui è stato con l’evoluzione definito, sicuramente ha molte probabilità di non riuscire a crearsi una stabilità emotiva che rafforzando il suo essere cane e la sua autostima lo aiuta a ottenere quell’equilibrio psicologico che gli permette di vivere con serenità le varie situazioni che incontrerà nel corso della sua esistenza.
In conclusione credo che si possa dire che oggi è necessario studiare i comportamenti di questo animale non più attraverso un percorso etologico ma, considerando che quello che ieri era evidente, chiaro e funzionale oggi non ha più motivo di essere ne può essere adattato tramite i meccanismi dell’evoluzione, seguendo percorsi nuovi che tengano conto delle odierne realtà.